Cinque lampade da far splendere

Omelia del Direttore nella celebrazione di inizio anno pastorale
Cinque lampade da far splendere

La Parola che oggi la Liturgia ci affida è davvero ricca e sovrabbondante di spunti di Grazia capaci di alimentare la nostra vita di fede e il nostro quotidiano. Ma sappiamo bene che un’omelia non è un corso di Esercizi Spirituali per cui bisogna fare delle scelte e per evitare di lasciarmi prendere la mano ho pensato di prendere qualche appunto che mi costringa a non divagare.

Tra le sue espressioni maggiormente ricorrenti oggi ne troviamo una che ha attirato la mia attenzione e che credo possa esserci utile come bussola di orientamento ed è il termine sapienza, saggezza. Proviamo a chiederci insieme all'inizio di questo nuovo anno pastorale: Cosa vuol dire essere sapienti e soprattutto perché essere sapienti? Il sapiente è colui che ad un certo punto della vita capisce per chi è per cosa vivere. E’ colui che individua la meta del suo andare ed orienta tutte le sue piccole o grandi scelte quotidiane al raggiungimento di quella meta. Abbiamo ascoltato nella pagina del Vangelo di Matteo che dieci vergini erano lì perché attendevano Qualcuno: avevano una meta, un desiderio da colmare. La loro meta era il banchetto dello Sposo. Era chiaro volevano entrare con lo sposo alle nozze. Tutte, chi meglio, chi un po' peggio, erano protese verso la loro meta. Così anche noi, se vogliamo imparare a vivere bene, abbiamo bisogno di capire qual è la nostra meta. Sarebbe davvero bello approfondire questo discorso ma, come abbiamo già detto, siccome non è un corso di esercizi spirituali bisogna un po' stringere. Lascio a voi il compito. Proviamo tutti a chiederci in questi giorni: ma io per chi vivo? Per cosa vivo? Perché messo a fuoco questo, le scelte che ne derivano diventano, come mi piace sempre dire, semplicemente complesse. Semplici perché una volta che capisco dove devo andare riesco a mettere in fila tutto, complesse perché farlo è un altro discorso.

Questa sera invece vorrei concentrarmi sul chiederci non tanto per chi vive ciascuno di noi, ma per chi vive questa casa, perché vive questa casa, perché siamo qui insieme dopo 130 anni? Semplicemente per ricordare il passato? No! Siamo qui per fare memoria grata. Siamo qui per ringraziare il Signore. Ma non sarebbe autentica gratitudine se fosse soltanto il ricordo di un anniversario! Forse siamo qui per chiederci che cosa ci sarà dopo, in che modo vivere almeno i prossimi 130 anni. Un grande contributo per rispondere a questa domanda ce lo ha dato il nostro vescovo Nazzareno. Mercoledì nell'omelia della Messa da lui presieduta nel giorno esatto del nostro anniversario, ci ha aiutato a trovare il centro della nostra presenza in questa città e in questa chiesa diocesana ricordandoci che è importante che noi rimaniamo qui per aiutare i giovani a scoprire Qual è il progetto di Dio sulla loro vita e a realizzarlo. Questa casa esiste qui perché tutti i giovani abbiano la possibilità di provare a mettersi in ascolto per capire davvero per chi vivere. Siamo qui insieme, ce lo ricorda il Vangelo, per camminare verso una meta che oggi, per la cultura attuale sembra impronunciabile: noi siamo qui insieme per camminare verso il Paradiso. Questa è la meta da cui dovrebbero derivare tutte le nostre scelte. Un’espressione di Don Bosco tanto cara a tutti ci ricorda che è importante impegnarsi per essere: Buoni cristiani e onesti cittadini. Peccato che Don Bosco aggiungesse anche: e un giorno futuri abitatori del Cielo! No noi non siamo qui per cercare la pace del cuore o per trovare il modo di rendere più bella la nostra vita. Noi vogliamo essere qui per cercare di andare in Paradiso e non andarci da soli. Guardate sono molto serio nel dire questa cosa! Siamo qui perché  ciascuno di noi abbia la possibilità di capire come diventare Santo! Per meno di questo non ne vale la pena, possiamo anche chiudere. Chiudiamo le porte e andiamo da un'altra parte. Perché l'aggregazione, lo stare insieme, l'essere felici lo sanno fare tanti altri non c'è bisogno che lo facciamo noi. Camminare, correre verso il Paradiso questo sì, questo tocca a noi! Ma come? Come concretamente vivere il quotidiano per dare forma a questa esigenza? Proviamo ad imparare dalle vergini sagge che abbiamo incontrato questa sera nel Vangelo, anche perchè il banchetto di nozze nel linguaggio biblico è proprio immagine del Paradiso. Di queste dieci vergini alcune hanno fatto scelte appunto sagge altre un po' meno. Cinque sono entrate e cinque no. Chiediamoci allora con quelle sagge: qual è l’olio per noi quest’anno necessario per proseguire il nostro cammino verso il Paradiso? Qual’è l’olio capace di rendere sapienti le nostre scelte? Io ne ho individuati cinque. Cinque tipi di olio per cinque lampade diverse da far splendere lungo tutto questo anno pastorale.

Il primo olio, quello che alimenta la prima lampada, ce lo ha affidato ancora una volta don Nazzareno, il nostro Vescovo, nell’omelia del 4 novembre, ed è l’olio dell’OBBEDIENZA ALLA PAROLA DI DIO.

Quando nella nostra casa mancherà la parola di Dio mancherà tutto! Potremmo essere i più grandi sapienti per il mondo, potremmo essere i più bravi intrattenitori, organizzare le feste più belle e più coinvolgenti, radunare tante persone, addirittura potremo anche sfamarle del cibo più prelibato, ma se mancherà la lampada dell'obbedienza la parola di Dio mancherà tutto perché lì c'è la Verità di cui abbiamo bisogno. Certo molte volte ci appare una Parola scomoda, ma solo perché è una parola vera una parola capace di metterci in discussione. E’ una Parola capace di parlare al nostro cuore solo se smettiamo di provare a capirla per amarla, ma piuttosto impariamo ad amarla per capirla nel profondo.

Perchè questo accada dobbiamo cercare di alimentare però un’altra lampada e quindi impegnarci a trovare sempre un altro olio che è quello dell’UMILTA’.

Spesso, con aria di sfida, guardiamo alla Parola chiedendo al Signore cosa c'è da dire e se davvero poi è così importante per la nostra vita, ma puntualmente ci troviamo con un senso di vuoto da riempire. Abbiamo bisogno di riconoscerci piccoli davanti alla Parola di Dio, umili ascoltatori di un dono più grande che ci raggiunge anche attraverso la vita dei fratelli che ci pone accanto. Ecco allora che la lampada dell’umiltà può essere anche alimentata dall’impegno ad evitare la mormorazione, quell’atteggiamento che don Bosco ha sempre ritenuto il più pericoloso dei vizi per l’armonia e la bellezza di una casa salesiana. Sarebbe bello imparare in questo anno pastorale a guardare l’altro sempre con uno sguardo di possibilità e non di diffidenza. Impegnarci ad avere un parola trasparente e diretta perchè impastata di Bene per l’altro.

Uno sguardo umile e una parola sincera ci aiutano a collocarci anche nel centro incandescente, la lampada splendente della nostra casa e di ogni casa salesiana: il suo CORTILE. La proposta pastorale di quest’anno della Famiglia Salesiana in Italia, “Nel cuore del mondo. #livethedream”, ci invita proprio a recuperare questo spazio privilegiato di incontro e di spunto educativo. Ma cosa vuol dire oggi essere accoglienti in cortile quando è difficile vederci di persona? Come si fa oggi che nel vederci non possiamo neanche abbracciarci, non possiamo toccarci? Come si fa a mettere al centro l'incontro tra di noi in cortile? Ecco stasera voglio lanciarvi una sfida: forse vivere l’accoglienza in cortile quest'anno vuol dire AVER CURA dell'altro. Il cortile per Don Bosco non era soltanto un luogo ma era un modo di essere! Quando qualcuno entrava in cortile Don Bosco aveva uno sguardo di cura, di attenzione. Ci si può guardare profondamente anche da lontano, si può aver cura dell'altro anche senza stargli vicino fisicamente. Forse quest'anno Il nostro cortile è proprio l'incontro del cuore dell'altro. Prendersene cura, avere attenzione per lui o per lei, per i suoi bisogni e per i suoi sogni di paradiso.

Per far questo credo sia necessario coltivare un sentimento che ci sembra spesso lontano e quasi negativo ed è il TIMORE. Abbiamo bisogno nella vita di alimentare una quarta lampada con l’olio di un sano timore che non è paura né terrore ma l’atteggiamento di chi sente di avere in mano qualcosa di prezioso qualcosa di importante qualcosa di vitale. Quando una mamma, un papà tengono in braccio un bimbo per la prima volta provano quel timore che è un misto di paura ed entusiasmo, è l’atteggiamento di chi custodisce ed ha cura di un bene inestimabile.

Ed eccoci all’ultima nostra lampada e non in termini di importanza, ma piuttosto di sintesi. Come ci ha chiesto don Nazzareno mercoledì abbiamo l’impegno di alimentare la lampada del sogno che il Signore ha su ciascuno di noi e su ogni giovane che entra in questa cassa con l’olio dell’ASCOLTO. Non dobbiamo e non vogliamo avere più paura della parola vocazione perché la vita è una vocazione, è una chiamata alla felicità. Invece oggi anche nei nostri ambienti, e mi spiace dirlo, anche in questa nostra bella casa, quando sentiamo parlare di vocazione dentro di noi scattano dei “salva-vita” che invece di preservarci finiscono per ingabbiarci e impedirci di riconoscerci per quello che siamo realmente: Figli amati, chiamati a una felicità più grande.

Cinque lampade per orientare il nostro cammino di quest'anno. Cinque lampade che non dovrebbero mai spegnersi perché sono il modo in cui insieme vogliamo correre verso il Paradiso. Correre perché famiglia. Correre perché sentiamo di poter ancora dire che nonostante le difficoltà, nonostante i problemi, nonostante la pandemia, c'è una Speranza che non viene e non verrà mai meno: quella di essere pensati, voluti e Amati dal Signore per percorrere sentieri di felicità con passi d’infinito dal cuore del mondo verso il Paradiso.

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