Amati e Chiamati: renditi umile, forte e robusto

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Amati e Chiamati: renditi umile, forte e robusto

In continuità con la proposta pastorale dello scorso anno proseguiamo nell’approfondimento del “sogno dei nove anni”, perché è un testo decisivo e da tenere sempre in primo piano in vista della celebrazione del suo bicentenario (1824-2024).   

L’anno scorso abbiamo approfondito la spazialità del sogno, dedicando una particolare attenzione al cortile come luogo di incontro, educazione ed evangelizzazione. È in quel contesto che avviene il sogno, e riconosciamo nel cortile una terra santa dell’educazione che non possiamo né dobbiamo mai abbandonare.

Quest’anno facciamo un passo avanti ed entriamo nei dialoghi del sogno, spostando la nostra attenzione all’accompagnamento che Giovannino riceve per formarsi come pastore dei giovani.  Ci soffermiamo sulle parole fondamentali che vengono rivolte a Giovannino da colei che l’uomo venerando definì “la maestra alla cui scuola potrà diventare sapiente”. Il cuore della proposta, dopo aver individuato il campo in cui lavorare, consiste in un triplice invito: «Renditi umile, forte e robusto». Questi tre atteggiamenti, nel momento in cui saranno assunti pienamente, renderanno possibile ogni impossibilità emersa durante tutto il sogno.

Giovannino deve modificare il suo carattere, assumere nuovi modi di essere e crescere in determinate e specifiche virtù che lo faranno divenire educatore e pastore dei giovani. A Giovannino è chiesto di assumere un dinamismo di disponibilità formativa, di mettersi in gioco e di essere disponibile al cambiamento di stile, al miglioramento del proprio approccio, all’affinamento del proprio carattere e al perfezionamento della propria personalità. La finalità dell’accompagnamento della maestra è quella di aiutare Giovannino a diventare un adulto come si deve, un educatore autorevole, un pastore dedito, sino alla fine, al gregge affidatogli. Molto importante è la priorità chiaramente evidenziata dal sogno. A Giovannino non è chiesto di catapultarsi impreparato nella missione, ma di lavorare con disciplina su di sé, facendosi accompagnare da chi prima di lui è stato educatore e pastore. Appunto attraverso l’obbedienza, acquisendo la scienza pratica dell’educazione. La priorità della missione sta nella formazione, che è la prima risposta alla propria vocazione! Sembrerebbe un controsenso, ma è una conclusione dettata dal buon senso! Se un educatore non lavora su di sé, se non verifica continuamente il proprio approccio, se non sa correggere i suoi stili sbagliati, se non si mette continuamente in discussione e non lavora per migliorarsi non sarà adeguato alla sua missione. Umile, forte e robusto. Sono le tre virtù da fare proprie, indicate da Maria, madre e maestra.

Umiltà , prima di tutto. Parola che genera spesso in noi qualcosa di irritante, di fronte al fatto che il nostro tempo ci chiede continuamente di bastare a noi stessi. Mentre l’umiltà riconosce prima di tutto che noi siamo quello che siamo non per merito nostro, ma per una serie di doni che ci sono stati fatti e che ci vengono continuamente dati. L’umiltà è il pieno riconoscimento della nostra vera condizione esistenziale: riconoscersi creature fragili, seppur amate alla follia da un Dio che ha dato la vita per noi; vivere continuamente di legami e affetti che ci danno la vita e ci tengono in vita, piuttosto che illudersi di bastare a se stessi. Giovannino dovrà sempre fare affidamento su Dio nella propria missione, dovrà vivere di fede come tutti i santi, e questa fede è radicata nell’umiltà di non pensarsi autosufficiente e autoreferenziale. L’umiltà gli permette di allearsi continuamente non solo con Dio, ma con tutti coloro che avranno a cuore il bene dei giovani.

In secondo luogo, fortezza . Delle quattro virtù cardinali – giustizia, fortezza, prudenza, temperanza – la maestra gli chiede di crescere prima di tutto nella fortezza d’animo, nella capacità di tenere testa e di porsi alla testa dei fanciulli, di diventare il loro leader positivo. Assumere fortezza, cioè saper resistere alle fatiche e agli insuccessi della missione, è decisivo nell’educazione, perché sappiamo che essa può imbattersi con il fallimento, l’errore, la crisi. Educare ha strutturalmente a che fare con la libertà dell’altro, e quindi il risultato non sarà mai un automatismo che va da sé, né un algoritmo definito una volta per tutte. Bisogna essere forti perché la fatica, il sacrificio e anche la sconfitta prima o poi arriveranno, e bisognerà ogni volta risollevarsi.

In terzo luogo la robustezza . Ci vogliono resistenza fisica e forza d’animo per vivere la missione salesiana. La Madre, che è arrivata fin sotto la croce, ne sa qualcosa. Ci sono momenti – tutti i veri educatori li conoscono – in cui la tentazione di abbandonare il campo educativo per sfinimento o per comodità arriva. Stare in cortile ogni giorno ha non di rado il sapore dello stare sotto la croce. Stare svegli di notte ad assistere durante un campo scuola, dedicarsi fino a tarda sera e nelle feste comandate a preparare il meglio per i nostri ragazzi è una battaglia di resistenza fisica e spirituale. Don Bosco non ha mai voluto per i suoi figli la ricerca di penitenze particolari. A quanto ne sappiamo, a partire dalla biografia di Domenico Savio arrivando fino agli scritti per i suoi Salesiani, egli ha invitato a non fuggire mai dal sacrificio derivante dalla missione concreta e a distogliersi da penitenze cercate per se stesse e per la propria autoedificazione.

 

( Tratto da Quaderno di Lavoro "Amati e Chiamati" di Rossano Sala)  

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